Alkaid (eta)

La coda serpeggiava nella pioggia
l’equinozio era sparito
e tra le dita di un giovane mago
scorrevano le illusioni
di tutto il genere umano.
Tu eri seduta che sembravi un fossile.
Il ricordo di un’era di un anno prima
una metafora di madre
persa come Alice a rincorrere il bianconiglio.
O forse quello perso ero io
quel sapore metallico di sconfitta
e quel freddo prima
quando sai che diverrai ghisa
e sabbia. A camminare sul Sinai
in bilico fra le dune.


Dubhe (alpha)

Non c’è una seconda volta
dove la prima ha compiuto il balzo
di luce un presagio
e di buio un bagliore fine.

Sofia fissa la rete bianca
come si fissano le sirene
che cantano di tempeste e marinai
di rotte verso l’isola di Tupai.
Lei lo sa
il mondo non sta negli occhi
ma lo senti dentro
come fosse filigrana argentea
o i capillari nelle dita controluce

perché a volte la paura accade
di sentirsi una gabbia vuota
di sentirsi a terra
costretta a veder spiccare voli

eppure basterebbe poco ;
un soffio di maestrale, un salto nel buio
il beccheggio di una nave.


Alioth (epsilon)

… e guardandola dal basso
che sembra una chioma nera
nel danzare con il ferro
in equilibrio, sulle punte
di chiodi e di altre sfumature.

-A due anni luce sotto i piedi
il balzo breve di un ricordo-

Un quarto di giorno estivo, al secolo
ventunesimo da poco.
Eri tu, che ammutolivi la parola
come di Cambise l’armata vana
spariva tra sabbia e vento di Khamsin

non lo immaginavo certo
il ritiro, appena prima del maremoto
quando tutto si fa silenzio
e il salir dell’acqua è contronatura
il sapere di affogare
in un preciso giorno
ora, minuto e pure il singolo secondo

perché di figli si muore
si muore ad ogni emozione
divenendo gemelli asincroni mai nati
insieme. Di vasi comunicanti
di corde appese su diversi tronchi
e di doppi sensi.

Questa è la prima di sette poesie, che come denominatore comune hanno il grande carro. I titoli sono ovviamente le sette stelle che lo compongono, in rigoroso ordine di luminosità. Questa è dedicata a mia figlia Camilla ad un passo dai 18 anni.


Ponce de Leon

Sono in viaggio per cercare la fonte dell’eterna giovinezza, forse tornerò su questi lidi a raccontare e raccontarmi…mai dire mai.


labirinti

Le primavere cadono dai muri
nei ferri delle carceri scozzesi
o nelle maree nere di chiang rai
dove le donne raccolgono il riso
e i bambini sono sacchi di seta
in braccio ai venti d’oriente.

Dovremmo rassegnarci a noi
imparare dalle brutte copie
prima di essere scritte di nuovo
aspettando a mezz’aria
e niente che scorre sotto

dovremmo sporgerci dai ponti
senza paura, che è un’abitudine
come cambiare percorso
e pensare che possa succedere qualcosa ;
un’altra vita in cambio, una luna nuova
un labirinto senza soluzione


Vocazioni

Se almeno riuscissi a bendarmi di schiena

per setacciare i muri
in cerca di punti interrogativi
o parole già scritte
in un tempo di fame e patimento
 
non mi paragonerei al padre
alla genesi delle cellule
perché l’identità è un rifugio
per  profughi senza meta alcuna.
 
Tante, troppe cose cadono e accadono 
i compleanni non festeggiati
le date di scadenza, i lutti 
che te ne accorgi solo dopo
 
ed io, sotto mentite spoglie 
come fossi venuto al mondo
per uno sbaglio
un riverbero di sperma
ad un miglio dal palmo della mano
 
e tu, che sembri marzo
appena scoperto il calendario ;
il pane prima di essere mangiato
la legge del contrappasso, la vocazione
 
 

di discese e risalite

Arriverà l’offerta ai semidei, vedrai
e sarà un genocidio di parole
dure
come solo il pane che non si spezza può essere

potresti nasconderti
ma sarebbe come fare da conserva il tuo ;
un barattolo sottovuoto, un’esposizione
l’ultimo di una cordata sottomarina

perché vedi, per un subacqueo
il difficile non è la discesa ma la risalita
evitando il calcolo matematico
la probabilità che la marea sia peso specifico

e il peso si sa, non è sempre materia di studio
a volte capita di sentirlo nell’asfalto
altre volte è un appuntamento con il cielo
l’abito delle grandi occasioni
un frac di nuvole in disarmo

perché deviare fasci d’elettroni è possibile
divenire un prisma perfetto
cambiare l’angolo d’incidenza
per non tenersi tutto dentro


sensi unici alternati

Non è tempo di sinestesie
quando i giorni sembrano stencil
allineati sulle pareti
senza deviazione alcuna
se non il bisogno dell’ennesimo scisma

una parte sfinita sulle ginocchia
ruvide
l’altra, il dono dell’empatia
in controtendenza intermittente
come l’ombra asmatica
di un qualsiasi neon a luci rosse

dove sognano le superfici
derivano le profondità, si disgregano
perdendo di significato

siamo destini senza finalità
in sensi unici alternati


Un assioma prevedibile

Se bastasse un altro sole irregolare
per tentare di capirsi
comprendersi, nella geometria
di schiene giroscopiche
in controluce per definizione

lo sai, non scrivo versi di vernice
e non ho mani di farfalla
(come quel nero di new orleans)
ma preferisco i sottoscala
ai piani alti
che non esistere, a volte
è questione di centimetri

perchè di salti lunari spesso si muore
non per assenza di gravità
ma per il troppo dilungarsi di un assioma

di un’evidenza prevedibile;
la chiesa in una piazza vuota
il coniglio dal cilindro, l’estate che non piove


Sempre, non ancora

non qui e non adesso
ma capiterà ancora di ritrovarci
tra vicoli incoerenti
dove le parole sono dono e sfinimento

udiremo delle bombe la caduta
in lontananza, quasi fossero di carta
come gli aerei dei bambini
a scoprire correnti ascensionali
che seguono dell’iride la frastagliatura

e poi aspetteremo insieme
il decantare delle lacrime
sciogliendo collane di vertebre
per ogni segmento di spazio

perché un lutto non è mai per davvero
è un divaricare verso direzioni opposte
una il sempre, l’altra non ancora